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Tuesday, February 13, 2007

UN VIAGGIO MISSIONARIO

UNA SCELTA - NON UNA EMOZIONE

(Dott.ssa Elena Pagliacci) www.missionepossibile.com


Quando una persona sente parlare di “missione” ci si trova di fronte a due diversi sentimenti.Il primo è “ che bello aiutare glli altri in mondi lontani” il secondo è “bello ma io non riuscirei mai”.Questo perché il mondo missionario agli occhi di chi lo vive da lontano come in un film, senza aver mai fatto un’esperienza diretta è qualcosa che “mi piacerebbe tanto fare “ ma “ che non so se sarei capace di fare”.Anche per le persone non credenti, il mondo missionario riveste una dimensione a parte.E’ qualcosa che fai per gli altri senza pratiche religiose ma solo con il tuo zainetto pieno di amore. Il missionario è visto come un divulgatore d’amore,un seminatore d’amore,un consolatore, qualcuno che sente un incarico che gli viene dall’alto e che non può rifiutare perché il suo cuore, il suo spirito tutto è rivolto a cercare il modo di rispondere alla chiamata al meglio di ciò che può dare.Esistono due tipi precisi di persone a questo riguardo che si sentono portate a iniziare un cammino di conoscenza del mondo missionario.La prima categoria è quella di coloro che ascoltando un missionario parlare,o vedendo un filmato,o sentendo qualcuno che già l’ha fatto,sentono il ‘bisogno’ di partire.Cosa vuol dire il bisogno? Vuol dire che il loro cuore , le loro emozioni si sentono portate a partire per quel viaggio nel tentativo di colmare un vuoto, qualunque esso sia.Hanno bisogno di cimentarsi con qualcosa di forte,con un’esperienza grande che sentono coinvolgerà tutto il loro mondo fisico e spirituale.Cercano quasi una fuga dalle cose di tutti i giorni e nelle quali non riescono a trovare un senso.Partono portando nella loro valigia, le ferite,le delusioni con la speranza che l’amore che troveranno darà uno scossone alle loro esistenze.Poi c’è l’altra categoria, quella di quelli che fanno una ‘scelta’ andando a scoprire il mondo missionario.Sono persone che hanno già sostenuto una guerra interiore,hanno già medicato o guarito le ferite del passato stanno bene con sé stessi ma vogliono dare di più agli altri,vogliono portare il messaggio di Gesù a chi non lo conosce,a chi non sta bene come loro,in poche parole vogliono mettersi “al servizio degli altri” servire e aiutare chi si trova in difficoltà.Tra le dinamiche di queste due diverse tipologie,chi sente il bisogno di fare qualcosa per gli altri e per se stesso, e chi invece sceglie di partire al servizio degli altri sta poi tutto l’intricato sistema di relazioni che nascono all’interno dei vari gruppi che vanno in missione.La figura del missionario non è legata allo spostamento ma al ‘cambiamento’.Alla perdita dei propri parametri di riferimento per entrare nella mente, nella cultura nel mondo di fratelli diversi.Ed è un viaggio molto più difficile che quello stanziale.Vuol dire perdere di vista i propri ragionamenti, le proprie rigidità, le proprie sicurezze, per entrare delicatamente in un mondo sconosciuto dove il compito è arrivare al cuore e non alla soddisfazione di un bisogno.Così noi spesso vediamo persone che partono per una missione come se andassero ad un safari,ma senza il reale desiderio di conoscere e “mettersi al servizio” di chi è sofferente,carente,provato.All’interno dei gruppi e all’interno anche delle diverse denominazioni religiose ( difficoltà,differenze di visione,imprevisti) ci saranno sempre le due dinamiche menzionate sopra.Chi è venuto per ‘bisogno’ soffrirà di competizioni o di piccole e grandi incomprensioni e l’obiettivo non sarà più l’altro che devo aiutare, ma il superamento delle meccaniche relazionali che si ripetono nella vita di tutti i giorni che abbiamo lasciato.Non è certo la visione di un bimbo denutrito di persone che vivono nell’abbandono più totale o nella disperazione, che potrà cambiare la vita di queste persone,il loro cuore,il loro modo di amare il prossimo.Se non faranno un vero processo di ‘scelta’ di amare davvero e di cambiare la loro vita mettendola al servizio degli altri senza aspettarsi nulla in cambio non succederà nulla se non un viaggio interessante,emozionante,scomodo.Ecco perché la figura del leader all’interno del gruppo deve essere una figura che indica unità come corpo di appartenenza, unicità di pensiero e di azione .che altrimenti si distoglierebbe lo sguardo dal vero obiettivo che si vuole raggiungere e cioè l’unità dell’amore e del servizio agli altri.Per ottenere il rispetto delle persone occorre essere affidabili,sinceri,fedeli.Senza mettere in moto niente che non sia l’armonia del gruppo e di ciò che insieme si sta facendo.

Se ciò avverrà il viaggio verso quella missione o un’altra porterà davvero la persona che l’ha intrapreso a fare una scelta di cambiamento reale sulla vita di tutti i giorni.Allora quando tornerà alla sua esistenza,non porterà nella sua valigia di ricordi solo l’emozione di un viaggio particolare,o la sensazione di essere stato “buono” ma la certezza che il suo cammino sociale non sarà più lo stesso

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