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Friday, December 29, 2006

RICEVIAMO, CONCORDIAMO E PUBBLICHIAMO....




Perché ringraziare anche per i tempi difficili?
Di Robert J. Tamasy
Negli Stati Uniti, l'ultima settimana di Novembre è una settimana speciale.
Il giovedì gli americani celebrano il "Thanksgiving" ("giorno di azioni digrazie"), osservanza che è divenuta tradizione da più di 150 anni. Per milioni di persone, in altre parti del mondo, invece, quel giovedì è un giorno come un altro qualsiasi, un giorno per lavorare, scherzare, lottare,programmare, comprare, vendere, investire, comandare e ricevere ordini.
Considerando il valore di questa piccola pausa fatta una volta all'anno, che rallenta il frenetico ritmo e che porta ad apprezzare le benedizioni e labuona sorte che l'anno ha portato, perché aspettare per esprimere gratitudine fino al quarto giovedì di novembre? Non abbiamo niente di cui essere grati in gennaio, aprile, giugno o ottobre? Ed essere grati non ha limiti in nessuna cultura. Con la chiusura dell'anno, fra un paio di giorni, molti di noi si sentiranno grati per avere resistito a un anno di incertezze, sfide, realizzazioni e difficoltà. Forse abbiamo avuto successo in un affare, o abbiamo sopportato una forte tensione facendo fronte a continue spese. Abbiamo realizzato,finalmente, la tanto desiderata promozione o, forse, abbiamo sofferto unadelusione per non avere raggiunto una meta importante.Forse abbiamo dato il benvenuto ad un nuovo membro della famiglia o forsel'addio, chissà, anche ad un caro amico. Possiamo avere goduto un anno di buona salute o avere affrontato serie difficoltà fisiche, mentali oemozionali.
Gli aspetti positivi della vita sono argomenti facili per manifestare gratitudine. Però, è possibile essere grati per le difficoltà e per i tempi difficili che spesso sorgono, senza averne colpa?
Certamente si. Per lo meno è il consiglio che riceviamo dalla Bibbia e che sorprendentemente rimane rilevante e opportuno in questo Secolo XXI. Abbiamo qui alcuni esempi di quanto ci insegna riguardo al "Thanksgiving". Ringraziare trascende il bene e il male. Se tu realizzi una grossavendita, è naturale che ti senta riconoscente. Ma, ti senti grato quando un contratto non si realizza? Quelli che confidano in Dio e credono nella sua partecipazione personale nella vita giornaliera possono - e devono - essere grati per tutto. "State sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie." (1° Tessalonicesi, Capitolo 5:16-18). Ringraziare la fonte delle nostre benedizioni. La vera gratitudine attribuisce le cose belle della vita al divino potere di Dio e non alla"fortuna", al destino o al caso. "Gloria e lode a te Dio dei miei padri, che mi hai concesso la sapienza e la forza, mi hai manifestato ciò che tiabbiamo domandato..." (Daniele, Capitolo 2:23). Ringraziare Dio non per quello che abbiamo, ma per quello che siamo. Chi confida in Dio può essere grato non per quello che realizza, ma per quello che Dio ha realizzato per noi. Dio non solo ci provvede di capacità, ma anche ci rende possibile avere una relazione personale con Lui, oggi e pertutta l'eternità. ".rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre nel nome del Signore nostro Gesù Cristo." (Efesini, Capitolo 5:20). Ringraziare è riconosce a Dio ciò che gli spetta. Come ti senti quando sei lodato per il tuo arduo lavoro? Ti senti offeso quando sei elogiato per unlavoro ben fatto? Sicuramente no. Con Dio è la stessa cosa. "Loderò il nome di Dio con il canto, lo esalterò con azioni di grazie, che il Signoregradirà più dei tori, più di qualsiasi sacrificio." (Salmi Capitolo 69:31-32).


Auguri a tutti i miei fratelli in Cristo, amici, parenti, conoscenti, compagni,
che magari hanno chiesto a Dio un fiore, e Dio li diede un cactus
hanno chiesto una farfalla e hanno ricevuto un brucco...
Tutte le promesse passano per la prova del tempo.
Confidiamo in Lui; Egli conosce le nostre necessità. Se abbiamo pazienza vedremo che col passare del tempo in mezzo alle spine è nato un bellissimo fiore e che dal brucco una rarissima farfalla variopinta.
Le spine d'oggi possono essere i fiori di domani...
Auguri e 1000 benedizioni....

Shalom amici e fratelli,

ma chi e' Salvatore Crisafulli?
Conoscetelo leggendo questo comunicato di Pietro Crisafulli (il fratello)
Dopo l'uscita del libro "Con gli occhi sbarrati"

L’11 settembre 2003 Salvatore Crisafulli, il mio adorato fratello
maggiore, trentottenne e padre di quattro figli, sta recandosi in Vespa al
lavoro all’ASL di Catania con il figlioletto tredicenne, quando si scontra
frontalmente con un motofurgone. L’impatto è violentissimo e contrariamente al
figlio, Salvatore riporta un trauma molto severo con riscontro di gravi lesioni
cerebrali e un coma di quarto grado (su di una scala di quindici). Dopo un
delicato intervento chirurgico il primario della rianimazione dell’ospedale
“Garibaldi” di Catania, Dott. Sergio Pintaudi, gli diagnostica uno stato di “non
contattabilità”, per non dire troppo drasticamente di “coma vegetativo”, dal
quale secondo il sanitario sarebbe quasi impossibile tornare indietro.
Per
Salvatore e per tutti noi famigliari e amici quella data, due anni esatti dopo
l’attentato delle torri gemelle di Manhattan, è destinata a diventare il
“nostro” 11 settembre per antonomasia, il giorno che rivoluziona le vite di
ciascuno di noi e segna l’inizio di un lungo penosissimo calvario, in un
alternarsi di sofferenze, rese e ribellioni, diagnosi infauste o possibiliste,
disperazioni e flebili speranze.
Durante un anno e mezzo d’instancabili
peregrinazioni e sacrifici umilianti Salvatore, muto mendicante di cure e
attenzioni, è trasportato dalla nostra disperata caparbietà nei centri
neurologici di mezza Europa, da Catania a Messina, dalla Toscana a Milano, dalla
Svizzera all’Austria. Ovunque io bussi per chiedere aiuto mi viene risposto con
malcelata commiserazione che non c’è niente da fare, che ormai mio fratello è
diagnosticato “neuroleso cronico incurabile”, quando non addirittura malato in
fase “terminale”.
A Innsbruck, la nostra ultima spiaggia, un famosissimo
luminare studioso di patologie cerebrali estreme, quali il coma e lo stato
vegetativo, sentenzia che Salvatore è affetto da “sindrome apallica”, cioè da
una disfunzione neurologica progressiva e irrecuperabile caratterizzata da
assenza di attività della corteccia cerebrale (“pallium”).
Quella diagnosi
astrusa, laconica e ostile di “Apallisches Syndroms” mi rintronerà negli orecchi
in tutta la sua brutalità lessicale e aspra sonorità per molti mesi, come un
verdetto di resa senza condizioni, di condanna a morte. Né varrà ad addolcirla
il responso in italiano ancora più ineluttabile e definitivo: “Stato Vegetativo
Permanente”, talora addirittura accompagnato da un aggettivo disperante e
crudele: “Irreversibile”. Come dire che Salvatore non si sveglierà mai più dal
grande sonno del coma, scivolando progressivamente verso la morte.
Non manca
chi, tra i tanti luminari perorati per un consulto, azzarda un’ipotesi
diagnostica diversa. A ridurre Salvatore come un vegetale potrebbe essere la
sindrome di “Locked In”, cioè “da incarceramento”, uno stato diverso dal coma,
ma forse ancora più terribile: il malato ha coscienza, sente, capisce, soffre,
ma è irrimediabilmente impedito di comunicare in alcun modo con l’esterno.
Capite? Salvatore condannato a morire cosciente della nostra disperata lotta per
la sua sopravvivenza, senza poter mai più restituire un sorriso, una carezza,
una lacrima, un bacio alla sua mamma, ai suoi fratelli, a tutti i suoi cari che
vegliano su di lui.
Intanto, nel marzo 2005 scoppia il caso di Terri Schiavo,
la ragazza americana in coma da quindici anni, caso che commuove il mondo intero
e scatena dibattiti e polemiche feroci fra due contrapposte fazioni: quella di
chi sostiene che la ragazza abbia diritto almeno di continuare ad essere
alimentata artificialmente e quella di chi trova esageratamente oneroso per la
società e la famiglia il suo ulteriore mantenimento in una condizione sub-umana
di non-vita.
La controversia si sposta dal campo scientifico (nel dominio
dell’utile sociale), ove dettano legge le statistiche e il dibattito
sull’”accanimento terapeutico”, a quello etico (nel dominio della sacralità di
ogni vita), ove è considerato almeno gesto di umanità dare cibo e acqua a un
moribondo, a quello giuridico (nel dominio della sovranità legale) ove il vivere
o il morire dipende draconianamente da un impennacchiato decreto umano.
La
povera Terri, del cui risveglio non sembra più sopportabile un ulteriore
ritardo, è condannata a morire.
Come? Eutanasizzata? Macché! Per salvare
l’ipocrisia dei suoi carnefici morirà più “naturalmente” di fame e di sete, con
le labbra crepate dall’arsura e la lingua gonfia, fetida e appallottolata sino a
soffocarla. Questa la decisione umanitaria e sovrana della Corte Suprema di
Giustizia della Florida, tanto stupidamente inflessibile da far ammanettare un
bambino di dieci anni che, incurante delle diffide, ha pietà di Terri e osa
darle da bere.
E’ così accolta la sprezzante tesi pseudo scientifica che
tratta la vita unica e irripetibile di Terri alla stregua dell’esistenza
inanimata d’un vegetale, liquidando l’imbarazzante sorriso della sua dolcissima
mimica facciale come una smorfia insignificante condizionata da “involontari”
riflessi spinali.
La scalpore suscitato dal caso Schiavo mi dà il coraggio
di alzare la voce, di urlare pubblicamente che Salvatore non sarà abbandonato
nei gorghi della malasanità, senza cure né assistenza, come una inutile pianta
destinata ad appassire. Partecipo a trasmissioni televisive a forte impatto di
ascolto, minaccio di “staccare la spina” a Salvatore, se non sarò soddisfatto
nella mia umanissima aspettativa. Sento in cuor mio che il mio adorato fratello
dal profondo del suo pozzo di solitudine mi chiama, mi sente, soffre con me,
m’incita a vincere la sua impotenza e a comunicare al mondo la sua voglia di
vivere e il suo bisogno di aiuto.
Se la mia voce non basta ecco il conforto
scientifico della Dott.ssa Rita Formisano, primario del “Santa Lucia” di Roma
che, durante una puntata della popolare trasmissione "Porta a Porta"
testualmente afferma che “Terri Schiavo era nelle stesse condizioni di Salvatore
Crisafulli” e sottintende che, nel caso di mio fratello, bisogna intervenire
prontamente, non darsi per vinti, non abbandonare il malato dandolo
definitivamente per spacciato solo perché non si sa individuare esattamente il
suo male e la sua possibilità di ripresa.
Non tarda a giungere la conferma
autorevole del Dott. Andrea Arcangeli rianimatore del Policlinico “Gemelli” di
Roma: “Mi sembra un caso clinico molto simile a quello di Terri Schiavo”, detto
da chi sostiene la necessità di non interrompere le cure in attesa d’un
risveglio.
Anche la letteratura medica straniera, tra cui un’autorevole
rivista scientifica tedesca, si sofferma a denunciare la strana e incontestabile
somiglianza che accomuna i casi clinici di Terri Schiavo(USA), Salvatore
Crisafulli (ITA) e Maria Korp (AUS), tutti affetti da “Apallisches Syndroms” e
tutti degni di un barlume di speranza.
Il mio appello disperato non cade nel
vuoto, l’opinione pubblica è scossa, s’interessa al caso il neo Ministro della
Salute Francesco Storace e il 5 maggio 2005 s’inizia il percorso assistenziale e
riabilitativo in una struttura specializzata di Arezzo, ove non mancano
macchinari modernissimi, logopedia, fisioterapia e, soprattutto, trasfusioni
continue di calore umano.
Comincia a farsi largo larvatamente la diagnosi
già ipotizzata in precedenza, dell’oscura “sindrome da incarceramento” (“Locked
In”), di cui si sa molto poco, ma non si può escludere la remota e pur rarissima
possibilità che il cervello, stimolato senza sosta, misteriosamente
riparta.
Due mesi di cure appropriate e il 15 luglio 2005 mio fratello esce
dal coma. Trasferito a Catania nel modesto alloggetto di mamma Angela, si
riaffaccia alla vita di relazione. I suoi progressi sono impercettibili ma
continui e per noi fonte di intensa commozione.
Una domenica, proprio nel
giorno del Signore, Salvatore regala a quella donnina ricurva sul suo capezzale
la carezza di un sussurro: “Mam-ma”, che nel suo vecchio cuore affranto risuona
come un pentecostale rombo di tuono e ha l’effetto di quelle lingue di fuoco che
preannunciarono nel cenacolo la discesa dello Spirito Santo.
Da quel giorno
Salvatore ci racconta, la storia impressionante di un malato precipitato in una
dimensione esistenziale sconosciuta e misteriosa per tutti, anche per la
scienza.
Lui, senza poter interagire, sentiva e avvertiva tutto, le profezie
funeste dei medici, la forza irresistibile del nostro amore senza limiti, le
lunghe battaglie disperate contro strutture sanitarie inaccessibili, costose e
sorde alle mie proteste, anche la ribellione pubblica con la minaccia plateale
di “staccare la spina”.
Riesce a dirmi in dialetto il suo grazie: “Pietro,
per me hai già fatto troppo”. Riesce anche, nel suo balbettìo infantile, a
rimproverare la iattanza di quei soloni troppo sicuri di sé che scambiavano le
sue lacrime per un’insignificante riflesso spinale.
Proprio come
l’implorante ed enigmatico sorriso della sfortunata Terri, un’altra foglia
d’insalata, immeritevole perfino di un goccio d’acqua. Ma, al contrario di lei,
Salvatore non è solo, è protetto come in una fortezza dall’audacia del nostro
amore, scortato dal genio di una santa cocciutaggine famigliare e, perché no,
magari anche un po’ consolato da quella mia canzone: “Fratello mio”, composta
senza particolare talento, ma scritta direttamente sul pentagramma del mio
cuore.

Pietro Crisafulli

Che dire! un'altro esempio di amore senza limiti (vedi il post. del 7/11/06 "fino a dove saresti disposto ad arrivare di fronte alle avversita?") ringraziamo Dio per il miracolo del risveglio e per il sano amore della sua famiglia.