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Friday, October 13, 2006

testimonianza di Martina Gianneramo da www.ceiam.net
Politicamente Corretto
Sono ormai quasi 15 anni che vivo e mi muovo sulla sedia a rotelle e negli anni che sono trascorsi si sono avvicendati vari vocaboli per distinguere le persone che hanno difficolta' fisica e mentale dalle persone che non hanno problemi di questo genere. Ricordo, per esempio, non aver mai sopportato la parola handicappato, infatti questo termine per me e' sempre stato un dispregiativo (sicuramente per il fatto che tutte le volte che qualcuno lo usava era per offendere qualcun altro). Handicappato era usato, dai miei coetanei adolescenti di qualche annetto fa, come il sinonimo di persona poco intelligente, poco furba e come il sinonimo di persona a cui mancava una rotella ...uno poco sveglio insomma! Certamente nel momento in cui una persona sanissima, come ero io, diviene parte di una minoranza di persone handicappate, ha qualche difficolta' ad accettare di essere paragonata a qualcuno poco intelligente. Questo pero' creava in me un conflitto di coscienza: dal punto di vista cristiano infatti, noi non dovremmo mai avere riguardo alla qualit� delle persone...!?! Avevo quindi scoperto di essere un po' razzista. Non potevo crederci... Un po' inconsciamente, una delle prime cose che ho fatto, e' stata quella di classificarmi nella categoria di handicap che mi apparteneva: "Io non sono una handicappata generica ma una paraplegica, cioe' una persona che ha perso l'uso delle gambe." Questo mi sollevava un pochino lo stato d'animo, ma la coscienza, no! Effettivamente nei primi anni '90 era politicamente corretto dire: portatore di handicap, disabile o diversamente abile; ma la categoria sempre quella era... Qualche anno dopo cominciai ad occuparmi della disabilita' infantile per cui, per forza di cose, mi ritrovai a dovermi informare della giusta interpretazione dei termini che usavo ed ho scoperto una cosa strabiliante. Forse per qualcuno non dira' niente di nuovo e sicuramente qualcun altro potra' rimproverarmi e dire che il vocabolario esisteva anche prima di allora, ma cio' che ho scoperto mi ha fatto meditare anche su altre sfaccettature della disabilita' che non avevo mai considerato. Il termine handicap, e quindi tutte le sue derivazioni riferite alla disabilita', un termine preso in prestito da un gioco a scommesse, principalmente applicato negli ippodromi per le corse dei cavalli. Questo gioco ha una particolarita': si facilitano i cavalli piu' "brocchi", gli svantaggiati insomma, dando loro dei metri o del tempo di distacco nei confronti dei piu' forti. Questo per dare a tutti la stessa opportunita'di vincere e quindi, di far vincere gli scommettitori... Ma questo e' Cristianesimo puro! Non ha forse fatto cosi' per noi il nostro amato Signore donandoci la Grazia??? E non abbiamo anche noi un gran "numero di testimoni" che fanno il tifo per noi, perche' vinciamo, anche se siamo dei "brocchi"? (Ebrei 12:1) Ma allora siamo tutti handicappati e tutti possiamo essere facilitati a vincere. E ancora: che differenza c'e' tra me prima dell'handicap e me dopo? Io e te avremo sempre bisogno di essere avvantaggiati dalla Grazia di Dio, sulle nostre gambe o sulle nostre "ruote". In piu', una persona handicappata da' modo agli altri di dimostrare amore fraterno, chi sta nel disagio diventa un monito per chi invece si lamenta inutilmente di cose futili... Questo nuovo punto di vista ha cambiato il mio modo di vivere la disabilita', io ho il vantaggio di capire cosa significa avere una capacita' fisica e perderla. Voglio lasciarvi con uno slogan che mi piace molto: L'Handicap non e' una condizione fisica, psichica o sensoriale ma un modo di pensare. Tutti possono esserne prigionieri, tutti possono esserne liberati - e io aggiungo - liberati pienamente per la Grazia in Cristo Gesu'. Questo e': politicamente corretto.
Martina Gianneramo 28-04-2005

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